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"LEGGE QUADRO IN MATERIA DI RIORDINO DEI CICLI DELL'ISTRUZIONE"

(Relazione del Ministro Berlinguer)

On. Colleghi,

Nel mese di gennaio del 1997 il Governo, in attuazione del proprio programma e dell'accordo sul lavoro del 24 settembre 1996 annunciava l'intento di proporre una riforma generale del sistema scolastico italiano, praticamente stabile dagli inizi del secolo e per più versi non più adeguato a rispondere alle complessive esigenze della formazione delle nuove generazioni, chiamando il mondo della cultura, della scuola, del lavoro, le famiglie, le forze politiche e sociali, le associazioni e le istituzioni del sociale ad una riflessione dalla quale potessero scaturire proposte efficaci e un dibattito sereno nell'interesse del Paese e del suo futuro.

L'annuncio era accompagnato da una proposta articolata di riordino dei cicli scolastici che teneva conto sia di esigenze indilazionabili, quali quella dell'adeguamento dell'obbligo di scolarità ai livelli europei, sia degli esiti della sperimentazione realizzata nella scuola superiore negli ultimi venti anni, sia del dibattito trentennale sulle possibili ipotesi di riforma, che aveva visto tra i suoi punti più alti la Conferenza nazionale sulla scuola tenutasi a Roma dal 30 gennaio al 3 febbraio 1990 e l'approvazione da parte del Senato della Repubblica, nel 1993, di una proposta di legge unificata sul riordino dell'istruzione secondaria superiore e sul prolungamento dell'obbligo scolastico.

Sulla base di tale proposta si è sviluppato nel paese un amplissimo dibattito, che non accenna a spegnersi e che si è articolato in migliaia di iniziative di incontro e di riflessione dalle quali è scaturita una ricchissima messe di suggerimenti, condensati in documenti trasmessi al Ministero della pubblica istruzione, che sono stati analizzati per trarre alcune prime conclusioni e rielaborare l'ipotesi originaria.

L'ampia partecipazione al dibattito ha evidenziato la bontà della scelta di non presentare direttamente un disegno di legge, nella considerazione che i temi della scuola non appartengono ad una maggioranza politica, ma sono tesoro comune di tutte le formazioni che costituiscono e sostengono la comunità nazionale. Compito del Governo non è quello di imporre, bensì quello di interpretare i temi e le esigenze prevalenti nella società e di formulare al Parlamento proposte tali da dare risposte efficaci, salvaguardando le libertà e le specificità delle diverse formazioni.

Il disegno di legge allegato parte dal riconoscimento che l'educazione, la formazione e l'istruzione rivestono preminente interesse nazionale non solo per ogni governo, ma per tutte le autonomie e le formazioni sociali che compongono il Paese. Esso inoltre riflette l'esigenza di avvicinare il nostro sistema scolastico a quello degli altri Paesi europei, per la costruzione della "casa comune dell'istruzione per la nuova Europa", così come più volte affermato dal Consiglio dei Ministri degli Stati membri dell'Unione Europea e, al contempo, di mettere le premesse per la riforma del "welfare state", che non può non fondarsi anche sulla formazione delle nuove generazioni.

Su di essa poggiano infatti il livello di cultura e di civiltà dell'intera compagine nazionale, la continuità e lo sviluppo del sistema democratico, la solidità del sistema economico e industriale, l'armonico dispiegarsi dei rapporti in divenire, le speranze di tutti i membri della comunità.

Riflettendo sulle caratteristiche che differenziano il nostro tempo dalle epoche precedenti, il documento del Governo del gennaio ricordava che mentre la formazione ha avuto come suo nucleo tradizionale fondamentale la "trasmissione" di conoscenze consolidate, di tradizioni, di consuetudini, i rapidi progressi della scienza e l'accelerazione dello sviluppo delle tecnologie hanno profondamente inciso sulla "stabilità delle conoscenze", sempre più rapidamente "bruciate" dalle innovazioni; al punto che nei paesi più avanzati, intere generazioni hanno sperimentato il significato di "obsolescenza" riferito ad abilità e capacità che l'evolvere dei tempi aveva reso inesorabilmente inutile. E' pertanto emersa la necessità di affiancare al tradizionale modello della "trasmissione", che va peraltro salvaguardato nella misura in cui è destinato a preservare le caratteristiche e le specificità della memoria nazionale, quello della "trasmissione acquisizione" di metodi, della sollecitazione dell'intelligenza critica, della ricerca, dell'approfondimento, della coniugazione più stretta tra momento cognitivo e intellettuale e momento applicativo e d'indagine.

Se ne traeva la conclusione che presupposto fondamentale di un intervento che voglia essere veramente innovatore -presupposto enunciato nella proposta del governo, ma sfuggito anche a molti dei più acuti commentatori- è la previsione di un rafforzamento degli elementi culturali di tipo generale, metodologico e di indirizzo, tali da favorire formazione della persona nella sua interezza, da metterla al riparo dalla instabilità dei contenuti del moderno sapere e da fornirle gli strumenti per mantenere aggiornati i livelli di competenza, di conoscenza e di abilità.

Se peraltro appare indispensabile, al fine dell'affermarsi di una umanità piena e consapevole, che ogni persona possa raggiungere livelli più elevati sviluppando e potenziando le risorse morali e intellettuali che le sono proprie, è anche indispensabile che il numero delle persone interessate a questo processo cresca progressivamente col crescere della complessità dei fenomeni, ad evitare che siano questi a governare la realtà, in un crescendo di "inevitabilità" e di "automatismi" che finirebbero col rendere l'uomo incapace non solo di governare, ma anche di intendere la realtà che lo circonda, rendendolo nei fatti sempre meno libero di autodeterminazione.

Far crescere le risorse umane, anche quantitativamente, ha pertanto il senso di garantire che cambiamenti, trasformazioni, evoluzioni siano governati non da pochi super-tecnici, ma democraticamente, dalla generalità dei soggetti che vi sono interessati.

La qualità e quantità delle risorse umane disponibili è stata peraltro riconosciuta anche come fattore strategico per lo sviluppo dei livelli produttivi e occupazionali di ciascun paese. Il libro bianco pubblicato nel 1996 dalla Commissione europea, intitolato "Insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva" testualmente afferma che "l'investimento nelle risorse immateriali e la valorizzazione delle risorse umane incrementano la competitività globale, sviluppano l'occupazione e permettono di salvaguardare le realizzazioni sociali. Quanto ai rapporti sociali fra gli individui, essi saranno sempre più guidati dalle capacità di apprendimento e dalla padronanza delle conoscenze fondamentali".

Produzione e occupazione nei paesi sviluppati sono variabili i cui scostamenti vanno osservati con molta attenzione: i processi tecnologici da un lato marginalizzano il lavoro umano, spesso non più indispensabile nei settori della produzione diretta e dall'altro potenziano la richiesta di qualità organizzative, ideative e programmatorie dei processi e dei flussi. Lo sviluppo di tali qualità ha però per presupposto un forte investimento nella formazione. E' proprio sulla formazione che nel prossimo futuro si incentrerà la competizione economica internazionale, prima imperniata sull'approvvigionamento delle risorse naturali ed energetiche.

Il documento del Governo ricordava anche che "il problema della cultura, dell'istruzione e della formazione, come strumenti per ottenere una crescita qualitativa e quantitativa delle risorse umane è emerso in tutta la sua evidenza ed è divenuto il volano degli interventi riformatori che dalla fine degli anni '80 hanno impegnato molti paesi europei nel perseguimento dell'obiettivo prioritario della "piena scolarità" per la costruzione di un sistema chiamato tendenzialmente a portare tutti i giovani al raggiungimento di risultati formativi concreti.

"Le soluzioni adottate non sono state ovunque eguali: l'obbligo fino a 18 anni nel settore della formazione professionale per chi non prosegue nella scuola (Germania, Belgio); obiettivi di produttività prefissati (legge francese del 1989, che si è proposta di portare al diploma almeno l'80% dei diciottenni e, in subordine, un'intera fascia d'età alla qualifica professionale); l'estensione della scolarità verso il basso e verso l'alto (Spagna: sviluppo dell'educazione infantile e obbligo fino a 16 anni); la costruzione di opportunità differenziate dopo l'obbligo, in modo da corrispondere alle aspettative di tutti, favorendo però la possibilità di passaggio da un canale all'altro; interventi contro la dispersione scolastica (si ricordi la risoluzione CEE del 1989).

"Sul piano legislativo la scelta è caduta più frequentemente su grandi leggi quadro di riordino dell'intero sistema (Francia, Spagna, Inghilterra, Belgio) inteso non solo come "riordino funzionale", ma soprattutto come ricerca di nuova qualità".

Il presente disegno di legge si colloca in questa prospettiva, nella consapevolezza dell'insufficienza di singoli provvedimenti di riordino degli attuali percorsi di istruzione e formazione, fuori da un quadro generale che offra risposte meditate e compiute a tutti gli interrogativi ed ai problemi ai quali l'attuale sistema ha dato origine.

La ricostruzione dell'intero percorso dell'istruzione costituisce una risposta concreta ai più gravi problemi che emergono da un'analisi della attuale realtà, nella quale il numero degli insuccessi e delle espulsioni precoci dal sistema scolastico è certamente troppo elevato in relazione sia alle esigenze della formazione delle singole persone, sia per i riflessi sul piano del vivere sociale.

E ciò tanto più perchè la necessità di elevare l'età della scolarizzazione obbligatoria, da tutti riconosciuta come ineludibile, ha come esito quello dell'inserimento di giovani che attualmente abbandonano gli studi per le più varie ragioni proprio in quei primi anni della scuola secondaria superiore nei quali maggiore è attualmente il numero dei fallimenti.

La funzione complessiva dei vari cicli di studio, che concorrono tutti al raggiungimento del successo, è ripensata per attivare percorsi nei quali divenga possibile elevare la quantità dei successi senza penalizzare la qualità della formazione personale, e offrire, al contempo, momenti di formazione permanente capaci di riattualizzare conoscenze, competenze e capacità.

Gli obiettivi che il Governo si propone di realizzare attraverso la revisione dell'intero sistema scolastico, anche alla luce del dibattito sviluppatosi fino ad oggi, possono essere così precisati:

-riconoscimento della priorità dei problemi dell'educazione, dell'istruzione e della formazione come strumenti per la crescita personale e dell'intera società;

-coinvolgimento dei genitori nella realizzazione degli obiettivi educativi, di istruzione e formativi;

-innalzamento dei livelli culturali e scientifici personali e generali;

-crescita di una moderna cultura professionale, che, accanto alle abilità e capacità professionali proprie di ciascun indirizzo, fornisca a ciascuno capacità di riconversione;

-sviluppo di una cultura fondata sulla responsabilità, la tolleranza, la valorizzazione delle differenze e i valori del pluralismo e delle libertà;

-crescita della coscienza democratica e realizzazione di una cittadinanza solidaristica, piena e consapevole.

Sono stati individuati come strumenti indispensabili per raggiungere tali obiettivi:

-l'elevazione della durata della scolarità obbligatoria da otto a dieci anni;

-l'affermazione e l'attuazione in tempi ravvicinati del diritto alla formazione fino al diciottesimo anno d'età, per consentire a tutti i giovani di conseguire un diploma o una solida qualificazione professionale;

-la valorizzazione della professionalità degli operatori della scuola e della formazione e la valorizzazione di tutte le componenti nel governo e nella gestione delle istituzioni scolastiche e formative;

-la realizzazione di un sistema capace di supportare l'autonomia scolastica e di individuare i necessari interventi perequativi per uno sviluppo armonico e unitario dell'intero sistema scolastico nazionale.

Il presente disegno di legge costituisce peraltro solo una parte della risposta alle complessive esigenze di riforma della scuola.

Gli altri capisaldi di tale riforma sono infatti l'autonomia delle istituzioni scolastiche, la riforma dei programmi di insegnamento e la realizzazione, alla pari degli altri Paesi europei, di un sistema pubblico integrato di istruzione.

La grande riforma autonomistica della scuola, approvata dal Parlamento mentre era in corso il dibattito sul riordino dei cicli scolastici, influenza senza dubbio i contenuti e la stessa struttura del presente disegno di legge.

Viene infatti meno la necessità di precisare gli ambiti di libertà delle istituzioni scolastiche, l'estensione della loro capacità di interrelazione col territorio, la specificazione delle modalità di organizzazione dell'insegnamento.

Tutta questa materia troverà la sua disciplina, nel solco tracciato dall'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, nei regolamenti che vi daranno attuazione e che saranno portati all'attenzione del Parlamento in tempi utili per la delineazione di un quadro complessivo nel quale la riforma dei cicli possa costituire lo sviluppo naturale del sistema dell'autonomia, senza giustapposizioni e duplicazioni che ne complicherebbero inutilmente il percorso di attuazione.

L'attribuzione di autonomia didattica e organizzativa alle istituzioni scolastiche favorirà l'ulteriore sviluppo di un processo di sburocratizzazione e di valorizzazione della collaborazione con le autonomie locali e con altre agenzie formative che nei fatti è già in atto da molto tempo e che ha visto negli interventi per il recupero della dispersione, in quelli per lo sviluppo della salute, in quelli per l'attuazione di iniziative integrative e complementari, la realizzazione di percorsi e di soluzioni diversi rispetto a quelli tradizionali.

La legge n. 59 incide peraltro direttamente anche sui contenuti dell'insegnamento perché da un lato riserva allo Stato le competenze in materia di ordinamenti e programmi, ma dall'altro indica con tutta chiarezza che tali competenze non potranno più essere esercitate in senso totalizzante (con programmi che descrivono minutamente percorsi e tempi di realizzazione), ma dovranno avere per contenuto l'indicazione di "standard" e "obiettivi", lasciando alle scuole autonome un margine forte di autonomia sia sulla costruzione dei percorsi sia sull'attivazione di un'offerta formativa propria, compatibile con gli obiettivi nazionali.

Ciò comporta necessariamente che il percorso di attuazione dell'autonomia e il dibattito parlamentare sulla riforma dei cicli siano accompagnati da una riflessione sui programmi d'insegnamento che il Ministro, in forza della potestà regolamentare attribuitagli dall'articolo 205 del T.U. approvato con decreto legislativo n. 297 del 16 aprile 1994 andrà via via modificando e aggiornando sulla base delle linee fondamentali tracciate dalle riforme.

Proprio per dare una prima risposta agli interrogati relativi "ai saperi fondamentali" che una scuola moderna deve garantire, il Ministro della pubblica istruzione ha insediato una commissione che, definita dai mass-media come "commissione dei saggi" ha rassegnato le proprie conclusioni contenute in un documento di sintesi trasmesso al Ministro della pubblica istruzione il 13 maggio 1997, che si allega alla presente relazione.

Il documento muove dalla necessità di pensare "in generale", superando la tentazione di far centro attorno ad ambiti di esperienza specialistici, per delineare un quadro complessivo di competenze e conoscenze irrinunciabili. La scuola dovrà tenere presenti i problemi delle identità individuali e delle forme di appartenenza e provvedere maggiormente a rimuovere le disuguaglianze nelle opportunità educative; dovrà darsi un assetto culturale nel quale coesistano e si supportino vicendevolmente la dimensione disciplinare e quella reticolare (dei saperi trasversali e dei collegamenti tra le diverse aree); dovrà promuovere una cittadinanza attiva per dare ai giovani capacità di comprendere e gestire i problemi della qualità della vita in rapporto a quelli della qualità del lavoro e dello sviluppo; dovrà favorire l'acquisizione anche delle dimensioni della manualità e dell'operatività, dai livelli elementari del gioco a quelli dello sviluppo di capacità di controllo e comprensione di tecniche e tecnologie; dovrà "metabolizzare" una nuova cultura del lavoro valorizzando la conoscenza delle nuove forme organizzative, della flessibilità, del lavoro autonomo e aiutando lo sviluppo del senso di responsabilità, di autonomia, le capacità etiche ed intellettuali di collaborazione, pianificazione e attuazione di progetti.

In questo quadro le tecnologie possono essere considerate come veicoli, oppure come ambienti di formazione dell'esperienza e della conoscenza.

La nuova scuola dovrà poter disporre di ambienti idonei all'apprendimento; la motivazione all'apprendimento dovrà essere sollecitata attraverso una corretta collocazione dei saperi nel tessuto delle diverse forme linguistiche e delle strutture teoriche; i programmi dovranno essere fortemente alleggeriti nei contenuti disciplinari e dovranno essere proposti come indicazioni di traguardi e di tematiche portanti.

Dovranno essere realizzati forti investimenti nella formazione degli insegnanti, con interazione fra scuola, università e centri di ricerca e dovranno essere garantite agli insegnanti prospettive di carriera e riconoscimenti economici.

Dovrà essere favorito l'utilizzo di una pluralità di strumenti educativi e dovranno essere fatti investimenti adeguati nelle biblioteche scolastiche e nei prodotti di divulgazione di elevato livello culturale.

La commissione ha inoltre sottolineato la necessità di ripensare il legame tra scuola, famiglia e società civile per aprire la scuola al mondo del lavoro, del volontariato, delle religioni, dei gruppi ambientalisti, della cultura e di affrontare appieno le discriminazioni di genere.

Per quanto riguarda le aree del sapere la commissione ha affermato che particolare attenzione deve essere dedicata alla comprensione del discorso, parlato e scritto, alla pratica degli usi più funzionali della lingua, al potenziamento dei saperi veicolari quali le lingue straniere e l'informatica; alla conoscenza dei linguaggi sonori.

Si tratta di suggestioni che certamente anch'esse influenzeranno il dibattito sul riordino dei cicli, che dovrà essere anche accompagnato dalla progressiva attuazione delle disposizioni relative all'autonomia e dall'attivazione di gruppi di lavoro tematici per l'individuazione degli obiettivi e degli standard nei vari tipi di istruzione. Si tratta con tutta evidenza di temi tra loro fortemente interconnessi, ma sarebbe un errore non tentare di farli avanzare contemporaneamente, in modo da realizzare una trama omogenea e coerente, fortemente partecipata a tutti i livelli.

E' infatti proprio la consapevolezza delle difficoltà di affrontare temi tanto complessi in un unico disegno riformatore che ha costituito un potente freno alla produzione normativa, causando un forte ritardo nei confronti degli altri paesi europei.

Vale la pena, peraltro di riprendere talune riflessioni contenute nel documento del Governo, nel quale si affermava che "sarebbe inutilmente pessimista ritenere che l'Italia sia all'anno zero. La realtà ha precorso, per molti profili, l'intervento del legislatore e la scuola, utilizzando lo strumento della sperimentazione, unico elemento vero di flessibilità che abbia caratterizzato gli ultimi decenni, ha già individuato vie, percorsi alternativi, soluzioni, ipotesi che attendono solo di essere compresi e riordinati in un sistema complessivo che, superando gli invalicabili ostacoli frapposti da alcune rigidità normative, raggiunga lo sviluppo naturale al quale l'intensa attività di docenti, direttori didattici, presidi, associazioni, l'ha già predisposto.

"Se poi si guarda alla intera scolarizzazione, si deve registrare che nel paese c'è stata una forte spinta alla sua complessiva estensione sia verso il basso (scuola materna), sia verso l'alto (scuola secondaria).

"Occorre ora fare uno sforzo di sintesi, traendo dalla realtà ciò che di meglio essa ha prodotto ed impostando una complessiva politica della istruzione e della formazione che riorganizzi in un sistema unitario e coerente ciò che il lavoro di migliaia di operatori della scuola ha già individuato come linea di sviluppo del sistema".

Il disegno di legge in esame, che si pone in linea di continuità con la proposta originariamente formulata dal governo, ma che accoglie anche molte delle suggestioni emerse nel ricco dibattito degli ultimi mesi, ridisegna dunque tutto l'arco formativo, a partire dalla scuola dell'infanzia fino alla maggiore età; pone inoltre i presupposti per l'integrazione del sistema scolastico con quello della formazione professionale, si propone di confermare stabilmente una nuova via non universitaria per gli studi superiori e, infine, disciplina i collegamenti tra gli studi secondari e quelli superiori, di tipo universitario e non universitario.

L'articolo 1 riconosce il preminente interesse nazionale dell'educazione, dell'istruzione e della formazione, che trovano ispirazione nei valori sanciti dalla Costituzione e riconosciuti dalla Comunità internazionale e sono finalizzate alla valorizzazione e alla crescita della persona in sè e in quanto membro della società, e della società nel suo insieme.

Al comma 2 si riconosce il ruolo dei genitori nell'educazione e nell'istruzione dei giovani, ruolo che comporta di necessità la loro attiva collaborazione con le istituzioni scolastiche.

Al comma 3 si ribadisce il dovere della Repubblica di assicurare a tutti pari opportunità formative.

L'articolo 2 descrive l'intero sistema di istruzione e formazione, dalla prima infanzia all'università, affermando che esso si caratterizza per l'offerta di formazione permanente, lungo tutto l'arco della vita, e che al suo all'interno si realizza anche l'integrazione delle persone handicappate.

Grande importanza, all'interno dell'articolo 2, assume l'affermazione del principio che tutti i giovani hanno diritto all'istruzione e alla formazione fino a 18 anni. Mentre, infatti, non si è ritenuto di poter accedere alla proposta, da più parti rappresentata nel corso del dibattito, di disporre una immediata elevazione dell'obbligo di istruzione e formazione fino al diciottesimo anno di età, si riconosce che questo è comunque un traguardo auspicabile del quale occorre mettere fin d'ora le premesse, facilitando quanto più possibile l'adesione spontanea al progetto complessivo. Per la formazione dei giovani che non intendano proseguire fino al diploma si rinvia anche a quanto disposto dall'articolo 11.

L'ultimo comma dell'articolo 2 delinea i contenuti e i limiti del disegno di legge, che, pur sottolineando la necessità di un disegno unitario complessivo, è volto a ridisciplinare l'istruzione impartita nelle scuole di ogni ordine e grado e i suoi rapporti con la formazione professionale e l'istruzione superiore, senza pretendere di sconfinare in materie di competenza delle altre amministrazioni statali o delle regioni.

L'articolo 3 ridisegna l'obbligo scolastico, prevedendo che esso abbia durata decennale, a partire dall'ultimo anno della scuola dell'infanzia fino al terzo anno del nuovo ciclo secondario.

Facendosi carico dell'urgenza del problema, il disegno di legge contiene anche una disposizione transitoria per l'elevazione dell'obbligo scolastico già nell'attuale scuola secondaria superiore. Deciderà il Parlamento, in base alla prevedibile durata del dibattito, se tale disposizione meriti autonoma considerazione.

L'articolo 4 disciplina l'integrazione delle persone con handicap, con un rinvio alla legge quadro 5 febbraio 1992, n. 104, i cui valori si è inteso espressamente riaffermare.

L'articolo 5 delinea la scuola dell'infanzia nel suo complesso, valorizzandone la continuità educativa interna e, sostanzialmente, riprendendo i contenuti, le finalità e le caratteristiche che ne hanno fino ad oggi caratterizzato, nelle migliori esperienze, percorsi e metodologia, al punto da stimolare l'emulazione da parte di altri Paesi.

E' stato accolto in pieno il suggerimento, quasi unanime, scaturito dal dibattito, di evitare qualsiasi riferimento a funzioni "preparatorie", che sarebbe fuorviante e rischierebbe di snaturare un percorso consolidato, calibrato sulle potenzialità e le caratteristiche dell'età alla quale si riferisce.

L'articolo 6 si avvale anch'esso dell'esperienza fatta nel corso degli ultimi anni, a partire dalla riforma del 1990, nella scuola elementare e dell'esperienza già consolidata della scuola media.

Esso descrive un ciclo primario che riunifica in sé l'attuale scuola elementare e media, senza perderne talune caratteristiche, ma delineando un nuovo percorso unitario volto alla realizzazione di obiettivi diversificati, lungo il quale si realizzerà il graduale passaggio dalle grandi aree alle discipline.

Qualche preoccupazione è stata espressa, nel corso del dibattito sulla proposta del Governo, per quella che è stata ritenuta una abbreviazione di un anno delle elementari, ma in generale è prevalso l'interesse per l'ipotesi di un ciclo primario unitario, che consentirà di perfezionare il percorso didattico allentando taluni ritmi troppo serrati e costruendo percorsi che, per l'ampiezza e le caratteristiche di distensione temporale consentiranno un lavoro di maggiore approfondimento di taluni temi.

I primi due bienni sono destinati all'alfabetizzazione intesa non solo come acquisizione dei linguaggi e saperi fondamentali, ma anche come sollecitazione dello sviluppo di capacità critiche e del gusto dell'apprendimento e come crescita della capacità di riconoscere e condividere i valori che fondano la convivenza democratica. E' questa peraltro la sintesi, ampiamente condivisa, delle finalità della scuola elementare quali sono emerse dalla verifica dell'attuazione della legge n. 148/90 condotta negli ultimi mesi dal Governo e dal Parlamento.

Il terzo biennio, pur nella continuità del percorso, è destinato invece al consolidamento, all'approfondimento e allo sviluppo delle conoscenze acquisite e alla crescita di autonome capacità di studio e di elaborazione. Sono questi gli obiettivi dell'attuale scuola media, che meritano piena conferma anche perché traguardano il passaggio dall'età più propriamente infantile all'età delle scelte.

Per completezza occorre ricordare che da parte delle associazioni degli insegnanti medi si sono levate proteste per quella che è stata considerata una proposta di abolizione della scuola media. Alcune obiezioni sono di tipo culturale e riguardano l'idea che in questo modo non si riconosca più l'autonomia del periodo di transizione tra l'infanzia e l'età più adulta, anticipando il momento delle scelte di due anni, altre sono dettate da vive preoccupazioni per il destino del personale, moltissime da problemi organizzativi.

Ad alcune di tali obiezioni risponde la stessa nuova struttura del ciclo primario che, terminando col dodicesimo anno di età degli alunni, coincide con l'inizio di quella che, per la generalità dei ragazzi e delle ragazze, viene definita genericamente età dello sviluppo.

Ciò vuol dire che la scansione immaginata è rispettosa dei tempi di crescita degli studenti e non si propone di chiedere loro un impegno superiore all'età o alle forze intellettuali.

Dall'inizio del ciclo secondario fino al compimento dell'obbligo il disegno di legge riconosce pienamente l'esistenza e i problemi dell'età di mezzo", vale a dire di quella adolescenza nella quale ha sede l'elaborazione dei problemi esistenziali e delle prime scelte e nel corso della quale sono possibili ripensamenti, slanci, regressioni. Ciò conferma l'intuizione di chi collocò la scuola media nell'orbita della scuola secondaria, liberandola da tentazioni di infantilismo e riconoscendone la funzione di accompagnamento in uno dei periodi di transizione più complessi dell'esistenza umana e spiega perché il disegno di legge abbia rifiutato la soluzione, pur seguita da altri paesi europei, di porre tutto il percorso dell'obbligo all'interno del ciclo primario.

La circostanza che il nuovo ciclo secondario abbia inizio col tredicesimo anno di età (coincidente con l'attuale terza media, caratterizzata, nei programmi, da forte intento di orientamento) fa comprendere come nella costruzione dei nuovi cicli possa realizzarsi un percorso complessivamente più coerente, lasciando alla fase dell'infanzia un periodo sufficientemente ampio per realizzare gli obiettivi dell'apprendimento di base, all'adolescenza un tempo giusto per fare scelte sperimentate e non solo immaginate, alla prima giovinezza lo spazio per costruire percorsi di approfondimento sui quali possano adeguatamente fondare le scelte di vita.

Tutto il ciclo primario sarà scandito da momenti di valutazione formativa, con esclusione di esami, al fine di promuovere efficaci azioni di compensazione e potenziamento.

Gli articoli 7 e 8 disciplinano il ciclo secondario, che avrà anch'esso la durata di sei anni.

E' molto importante chiarire un equivoco, nato dalla prima comunicazione della proposta del Governo, in seguito al quale si è ritenuto da parte dell'opinione pubblica che la nuova scuola secondaria sia in realtà suddivisa in due trienni che non comunicano tra loro.

Il testo del disegno di legge chiarisce che non è così.

Il ciclo secondario è in realtà un percorso unitario che, a partire dall'esperienza comune del primo anno, si differenzia vieppiù nel passaggio da un modulo all'altro prima e, definitivamente, negli ultimi tre anni.

Funzione del primo anno dovrà essere quella di porre gli studenti in condizione di valutare i vari percorsi possibili, sperimentandone parti caratterizzanti.

Vi saranno, pertanto, un nucleo di insegnamenti fondamentali, che proseguiranno anche nei due anni successivi e, a fianco a questi, moduli caratterizzati da un'offerta formativa diversificata che sarà proposta agli studenti in forme "adulte" e rispetto alla quale gli studenti potranno verificare le proprie inclinazioni. Va subito detto che non può trattarsi di "orientamento selvaggio" con un numero spropositato di materie. I programmi dovranno individuare, con molta serietà, argomenti e temi selezionati, indicativi dei vari indirizzi, il cui studio possa effettivamente costituire la base per gli sviluppi modulari degli anni successivi.

A partire dal secondo anno (quattordicesimo anno di età, corrispondente all'attuale età di ingresso nella scuola secondaria superiore) gli studenti si orienteranno verso un indirizzo preciso, che, nell'organizzazione modulare, diverrà l'indirizzo prevalente, ferme restando le materie fondamentali ed un'area opzionale libera che, in applicazione delle disposizioni sull'autonomia, i singoli istituti potranno individuare negli altri indirizzi (ciò che sarebbe opportuno nel primo anno, per favorire eventuali passaggi), ovvero nell'istituzione di un'offerta complementare all'indirizzo prescelto (ciò che potrebbe essere opportuno nell'ultimo anno dell'obbligo per coloro che certamente proseguiranno). Peraltro, trattandosi di materia che dovrà essere disciplinata con l'attuazione dell'autonomia e con la riforma dei programmi, il disegno di legge nulla dice sugli insegnamenti opzionali, che si ricordano qui solo a fini di completezza organica.

Cercando di semplificare al massimo: lo studente del secondo anno frequenterà le materie fondamentali e il modulo di indirizzo prescelto. Inoltre, secondo quanto programmato dall'istituzione scolastica di appartenenza, potrà opzionalmente frequentare o una parte del modulo di altro indirizzo, ovvero appositi moduli complementari all'indirizzo prescelto.

Lo studente arriverà pertanto al quarto anno del ciclo secondario con un bagaglio di esperienze nell'indirizzo prescelto costruito in tre anni di studio.

Quello che preme sottolineare è che i primi tre anni della scuola secondaria sono anni di studio e di approfondimento veri e propri e che la differenza, rispetto alla scuola attuale, starà sostanzialmente nell'organizzazione di tale studio e nella disponibilità delle scuole a garantire anche percorsi individualizzati (art. 8, comma 4), ma non nella quantità e qualità dell'insegnamento e dell'apprendimento. Lo studio sarà organizzato in modo da poter avere, in se stesso, funzione di orientamento e, coerentemente, saranno garantiti i passaggi tra aree e indirizzi, in modo che i giovani possano gradatamente pervenire ad una scelta consapevole e corrispondente alle loro inclinazioni.

Si ritiene così di aver dato una risposta ai molteplici interventi che si sono fermati ad analizzare la proposta del Governo per la parte relativa ai primi tre anni del ciclo superiore. A fronte di un generale riconoscimento della necessità di inserire nel percorso elementi forti di orientamento a sostegno delle scelte e della motivazione allo studio, si sono infatti registrate grandi differenze sull'idea stessa di orientamento e sulle sue modalità di realizzazione.

I primi tre anni dovranno comunque essere progettati in modo da garantire una prima terminalità degli studi, coincidente con l'esame che sanzionerà la fine del periodo di obbligo, ma consentirà la prosecuzione degli studi nel successivo triennio, nell'indirizzo prescelto.

Da molte parti è stata espressa la preoccupazione che la nuova struttura del ciclo secondario costringa ragazzi ancora molto giovani a difficili spostamenti quotidiani e che possa determinare una ulteriore "desertificazione" di intere zone del Paese; da parte di altri si è espresso il timore che l'aggiunta di un anno porti al collasso le strutture edilizie della scuola secondaria, che in alcune parti del Paese ancora è costretta ai doppi turni.

Il disegno di legge, facendosi carico di tali problemi, prevede (art. 8, comma 3) che in relazione alle situazioni territoriali, sulla base di intese tra gli istituti e gli enti locali, la frequenza dei primi tre anni possa avvenire in sedi facilmente raggiungibili dagli studenti. E' di immediata evidenza che a tal fine potranno essere utilizzate in parte le attuali sedi delle scuole medie.

Il triennio finale si caratterizzerà, nella continuità del ciclo, per l'approfondimento e ampliamento degli insegnamenti di indirizzo e dell'area progettuale. Nel corso dell'ultimo anno saranno attivati anche percorsi mirati all'elaborazione delle ulteriori scelte di studio o di lavoro.

Si prevede anche che, negli ultimi tre anni, gli studenti possano fare esercitazioni pratiche, brevi esperienze lavorative formative e stage anche mediante brevi periodi di inserimento nelle realtà culturali, produttive e professionali locali.

Al termine dell'anno conclusivo gli studenti sosterrano l'esame di Stato per il conseguimento del diploma.

L'articolo 9 disciplina le certificazioni adeguandosi a quanto ormai da tempo richiesto in sede europea in materia di trasparenza, per meglio garantire la mobilità degli studenti e dei lavoratori.

Il disegno di legge, all'articolo 10 disciplina l'annosa questione dei crediti formativi, già introdotti dalla legge quadro di riforma della formazione professionale (art. 11, commi 1 e 2 legge 21 dicembre 1978, n. 845) e mai concretamente attuati, prevedendo che la frequenza positiva di qualsiasi segmento del ciclo secondario, annuale o modulare, comporta l'acquisizione di un credito formativo che può essere fatto valere ai fini della ripresa degli studi eventualmente interrotti, del passaggio da un'area o da un indirizzo all'altro di studi, del passaggio alla formazione professionale. Analogamente, la frequenza positiva di segmenti della formazione professionale comporta l'acquisizione di crediti che possono essere fatti valere per l'ingresso nell' istruzione.

La disciplina della materia è rimessa ad un regolamento adottato su proposta del ministro della pubblica istruzione di concerto con il ministro del lavoro, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, che dovrà prevedere anche l'istituzione di un libretto formativo personale nel quale sono annotati i percorsi formativi, i crediti, le esperienze culturali e formative acquisite nella scuola e autonomamente, le capacità e le abilità accertate.

L'articolo 11 stabilisce, come si è già detto, che tutti i giovani hanno diritto alla formazione fino al diciottesimo anno di età e che tale formazione si realizza attraverso una progressiva espansione dell'integrazione fra formazione professionale e istruzione, nell'obiettivo di favorire lo sviluppo di capacità professionali basate sulla qualità della base culturale.

L'articolo 12, riconoscendo il valore di esperienze già attuate, autorizza gli istituti secondari ad attivare, nell'ambito della programmazione dell'offerta formativa da parte delle Regioni, corsi di istruzione superiore non universitaria, il cui valore sarà disciplinato dalle leggi regionali. La frequenza di tali corsi costituirà credito per l'istruzione universitaria.

A proposito degli articoli 11 e 12, occorre ricordare che il recente accordo per il lavoro sottoscritto dal Governo il 24 settembre 1996 con i rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro ha creato le condizioni per un sistemico sviluppo delle iniziative di integrazione del sistema scolastico e produttivo e di quello della formazione professionale regionale.

Ferma restando infatti la competenza delle Regioni ad individuare i requisiti perché un percorso formativo possa comportare il rilascio di una vera e propria qualifica professionale, l'attuazione della legge sull'autonomia delle istituzioni scolastiche, col passaggio alle Regioni della competenza in materia di programmazione dell'offerta formativa, potrà facilitare il sorgere di organismi regionali di concertazione all'interno dei quali sia valorizzato il protagonismo di altri soggetti istituzionali e in particolare, della scuola, che specialmente attraverso l'istruzione professionale ha accumulato esperienze e capacità meritevoli di essere valorizzate.

Solo attivando percorsi alternativi agli studi universitari si potrà progettare e realizzare un'offerta formativa attraverso la quale recuperare gran parte della dispersione conseguente agli insuccessi universitari.

Occorre peraltro che i nuovi canali di istruzione superiore non universitaria siano calibrati sulle richieste effettive del mercato, italiano ed europeo, evitando di ingenerare ulteriori illusioni, e impegnandosi perché essi mantengano livelli culturali e formativi adeguati. Perché ciò possa realizzarsi essi dovrebbero innanzitutto perdere le caratteristiche più propriamente scolastiche e le rigidità dell'insegnamento derivanti dalla programmazione ministeriale. Le esigenze della formazione hanno infatti caratteristiche di evoluzione così rapida che un sistema centralizzato non può farvi fronte.

Dalla collaborazione tra la scuola e la formazione professionale potranno derivare ampi benefici per ambedue i settori. La formazione potrà avvalersi delle strutture e del prestigio delle istituzioni scolastiche, che potranno far fronte a gran parte dei compiti relativi al potenziamento della cultura generale; la scuola potrà utilizzare le ricchezze di professionalità, di flessibilità, di capacità di riconversione della formazione professionale. Si uniranno così stabilità e dinamismo, in un patto sinergico sempre da rinnovare, nel quale l'interesse principale non sia la gestione di una parte di potere, ma il risultato della migliore formazione possibile in ciascun tempo e per ciascuno.

L'articolo 13 disciplina l'attività di formazione e di aggiornamento degli adulti.

L'articolo 14 attribuisce all'amministrazione scolastica il compito di monitorare costantemente l'attività formativa svolta dalle istituzioni scolastiche, con l'obbligo di rendere annualmente pubblici i risultati.

L'articolo 15 prevede l'immediata attivazione di corsi di formazione del personale docente finalizzati anche alla valorizzazione delle funzioni di organizzazione, tutoraggio e sostegno.

L'articolo 16 individua le disposizioni della legge che avranno immediata attuazione e disegna un percorso temporalmente disteso per il riordino dei cicli, in modo da evitare sfasature temporali rispetto all'attuazione dell'autonomia e alla revisione dei programmi di studio.

L'articolo 17 individua gli oneri e la relativa copertura finanziaria.